L’auto-motivazione
A questo punto si inserisce una nuova domanda: se non posso motivare gli altri, cosa posso fare? Credo che l’unica possibilità sia quella di accettare che le persone siano in grado di motivarsi da sé. Se proviamo a raccogliere una definizione (psicoanalitica?) della motivazione del tipo: la motivazione è un processo dinamico consistente in una spinta motrice che fa tendere l’organismo verso uno scopo. Ecco che abbiamo una definizione che ci spiega che la motivazione non può che essere auto-motivazione. Un processo intanto e non una singola azione; dinamico, sempre in movimento e in evoluzione che fornisce energia mentale e fisica -come abbiamo scoperto grazie alle ricerche delle neuroscienze – al nostro organismo – mente e corpo riuniti – verso uno scopo. Qualcuno lo chiamerà un obiettivo, perché no, anche se io preferisco pensare sempre a una visione, più ampia, più ricca, più versatile di un semplice obiettivo e anche meno pericolosa, che dobbiamo raggiungere e che è molto personale. Tanto da farci dire che esistono due tipi di motivazione.
La motivazione esterna e interna
La prima in genere indicata al singolare – la motivazione – che in effetti è quella che abbiamo presentato parlandone in negativo quando dicemmo che non possiamo motivare, ma sicuramente possiamo demotivare. Che deriva dalla connessione con elementi esterni alla persona: il contesto in cui si opera, il capo, la relazione con gli altri membri della squadra, il clima organizzativo, il tutto fondato sulla ricerca della soddisfazione dei bisogni. E poi l’altra la seconda dimensione, quella delle motivazioni, al plurale, che è attinente a elementi interni alla persona: la ricerca del piacere e i desideri che ci stimolano, l’idea di ricercare quanto può essere positivo per noi.
Non sorride mai …
Ancora un esempio personale per illustrare queste due dimensioni. Qualche anno fa mi trovai a dover ricercare un nuovo collaboratore. Feci dei colloqui di selezioni con persone che già lavoravano nell’azienda in cui mi trovavo. In breve, la mia scelta cadde su una persona, una donna competente, esperta nel campo in cui avrebbe dovuto operare. Presa la decisione, il mio capo mi fece una domanda strana: ma ti sei accorto che quella persona non sorride mai? In effetti non me ne ero accorto, forse perché incontravo quella persona in situazioni meno istituzionali. In ogni caso decisi di assumerla per la posizione aperta. Cominciò a lavorare con me in modo più che soddisfacente. Dopo un paio di mesi, il mio capo tornò alla carica: “Caspita mi disse adesso la tua collaboratrice ride e sorride senza nessun problema!” Cos’era accaduto? Niente di particolare, avevo scoperto leggendo le valutazioni delle performance degli anni precedenti che questa persona aveva chiesto solo due cose, almeno nei tre anni precedenti (e per ben tre anni!), poter seguire qualche corso di formazione e soprattutto poter essere autonoma nella sua attività lavorativa. Non ricordo se la inviai a qualche formazione, oltre a ciò che potevo trasmetterle direttamente io, ma sicuramente le diedi molta autonomia (ero spessissimo fuori ufficio durante la settimana, e avevo bisogno di una persona che fosse capace di lavorare in autonomia). Non ci voleva poi molto a dare soddisfazione a una motivazione semplice ma importante: avere autonomia nella propria attività lavorativa, non dover chiedere autorizzazioni o essere controllati come un bambino. Non l’ho motivata! Ho fatto quanto dovremmo fare sempre: creare le condizioni perché chi lavora con noi possa esprimere le proprie motivazioni. Quello che questa persona aveva ricercato per anni, senza mai ottenerlo, togliendole ogni soddisfazione lavorativa ed entusiasmo, le è stato fornito semplicemente dandole l’occasione di utilizzare le sue motivazioni.
Qué lindo es soñar despierto
L’auto-motivazione dicevamo, un esempio sicuramente più conosciuto e significativo lo troviamo in un ottimo libro: Open di Andre Agassi (che non posso che consigliare di leggere), la biografia della sua vita sportiva e di come sia diventato il campione di tennis che tutti abbiamo conosciuto. Un tennista motivato e resiliente. Le motivazioni le ha trovate dentro di sé aiutato dal suo personal trainer Gil, che dopo una sconfitta difficile da digerire (la finale di Roland Garros 1990) gli insegnò una frase che sua madre era solita dirgli: “Qué lindo es soñar despierto”. Com’è bello sognare a occhi aperti. È questo che Agassi doveva imparare a fare.
Tutti sono capaci di sognare dormendo, ma tu devi sognare sempre, e raccontare a voce alta i tuoi sogni, e crederci.
Gil non sta motivando Andre, gli sta ricordando alcuni aspetti imparati dall’esperienza di sua madre.
In altre parole, quando disputo la finale di uno slam, devo sognare. Devo giocare per vincere.
Auto-motivazione allo stato puro: definire una visione e gridarla agli altri.
Testo dell’intervento durante una conferenza a giugno 2017